Founders e investitori: due mondi (non così) lontani nel Fintech italiano

Il Fintech italiano sta entrando in una nuova fase. Lo dimostra lo studio “Founders vs Investors: two faces of Fintech funding” condotto da EY in collaborazione con Fintech District, che ha indagato i due volti – spesso divergenti – del finanziamento in questo settore: quello di chi crea e quello di chi investe.
La fotografia che ne emerge è quella di un ecosistema in evoluzione, ma ancora alle prese con dinamiche complesse. Il 66% dei founder prevede un nuovo round di raccolta entro metà 2026, segnale che la voglia di crescere c’è. Tuttavia, il percorso non è semplice: il 69% ha raccolto capitali tra il 2022 e il 2024, ma uno su quattro non ha raggiunto l’obiettivo prefissato.
il 69% dei founder ha raccolto capitali tra il 2022 e il 2024, ma uno su quattro non ha raggiunto l’obiettivo prefissato.
Chi chiede e chi offre: prospettive a confronto
Cosa cercano i founder? Rapidità nelle decisioni e supporto strategico. Cosa vogliono invece gli investitori? Visioni ambiziose, modelli scalabili e solidi piani di conformità. Da qui nasce un primo nodo critico: il disallineamento delle aspettative. Il 75% degli intervistati lo indica come la principale barriera nella chiusura di un round.
I founder tendono a presentare progetti con ambizioni contenute, mentre gli investitori cercano visione, scalabilità e leadership“
Andrea Ferretti, Italy Markets & Business Development Leader per i Financial Services di EY
Come spiega Andrea Ferretti, Italy Markets & Business Development Leader per i Financial Services di EY, “i founder tendono a presentare progetti con ambizioni contenute, mentre gli investitori cercano visione, scalabilità e leadership”. Il risultato? Uno su quattro ha raccolto meno del previsto e il 53% degli investitori segnala proprio “la mancanza di visione strategica” come ostacolo all’investimento.
Chi conta davvero: competenze o leadership?
Quando si parla di team, gli approcci cambiano ancora. I founder valorizzano le competenze tech e di prodotto (75%), mentre per gli investitori contano di più doti di leadership e management (sempre al 75%). Tuttavia, su un punto si trovano d’accordo: l’esperienza imprenditoriale pregressa conta eccome. Il 90% degli investitori la considera un elemento decisivo, e il 45% dei founder che hanno chiuso un round ne aveva già una alle spalle.
Altro elemento cruciale è la compliance. In un settore come quello finanziario, essere in regola non è un’opzione: il 68% degli investitori e il 52% dei founder la ritiene un fattore determinante.
Network batte capitale
Un altro aspetto sorprendente emerso dallo studio riguarda i canali attraverso cui avvengono gli incontri. Il 75% dei founder e l’80% degli investitori trova la controparte tramite network personali. Il capitale, quindi, passa spesso da relazioni informali più che da processi strutturati. Un dato che pone interrogativi sull’accessibilità reale alle risorse per chi è fuori da questi circuiti.
E quando i round non vanno a buon fine? In molti non si fermano. Il 75% delle Fintech senza equity ha continuato a svilupparsi tramite ricavi o debito. Ma c’è anche un 29% che ha tentato senza successo, e nel 38% dei casi l’ostacolo principale è stato la “mancanza di contatti strategici”.
Italia vs estero: sfida ancora aperta
Il 90% dei founder ha raccolto fondi principalmente da investitori italiani, ma il 50% preferisce l’approccio di quelli esteri. I motivi? Soprattutto “rapidità decisionale e di processo”, indicata dal 92% dei founder con esperienza internazionale. Gli investitori non sono da meno: il 49% preferisce Fintech straniere, considerate più scalabili e pronte all’internazionalizzazione.
Il 90% dei founder ha raccolto fondi principalmente da investitori italiani, ma il 50% preferisce l’approccio di quelli esteri.
La situazione interna, invece, resta poco attrattiva: solo il 5% dei founder e il 20% degli investitori considera semplice operare in Italia per raccogliere o allocare capitale. Non a caso, la crescita registrata nel 2024 – con 250 milioni di euro raccolti – non basta ancora a colmare il divario con Paesi come UK, Francia o Spagna.
Capitale strategico, non solo denaro
Il futuro, però, non è tutto in salita. Il 66% dei founder e il 55% degli investitori prevede un round entro metà 2026. Cresce anche l’interesse verso fondi VC (67%) e CVC (53%), non solo per il capitale ma per il supporto operativo e la rete di relazioni che portano con sé. Segnale che si cerca sempre più un “capitale strategico”, e non soltanto finanziario.
Il Fintech italiano è giunto a una fase cruciale. Le startup devono consolidare modelli sostenibili e conformi; gli investitori cercano aziende scalabili e team resilienti. Solo un confronto aperto tra queste due realtà potrà tradurre il potenziale dell’ecosistema in crescita concreta.”
Clelia Tosi, Head of Fintech District
Come sottolinea Clelia Tosi, Head of Fintech District: “Il Fintech italiano è giunto a una fase cruciale. Le startup devono consolidare modelli sostenibili e conformi; gli investitori cercano aziende scalabili e team resilienti. Solo un confronto aperto tra queste due realtà potrà tradurre il potenziale dell’ecosistema in crescita concreta.”