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Founder, smetti di fare il martire: pagati uno stipendio giusto!

Ho appena letto un articolo molto interessante su Sifted firmato da James Routledge, imprenditore seriale britannico e fondatore di Sanctus, in cui affrontava un tema tanto comune quanto taciuto nel mondo startup: lo stipendio dei founder. Ho deciso di riportarne e rielaborarne i concetti principali perché anche io, da ex founder, mi sono trovato più volte a vivere gli stessi dubbi. Quanto è giusto pagarsi? E quando il sacrificio smette di essere un segno di dedizione e diventa, invece, una forma di autosabotaggio?

C’è un mito che circola da anni nel mondo delle startup: quello del founder martire. L’imprenditore visionario che sacrifica tutto – tempo, salute e soprattutto il proprio stipendio – in nome della crescita dell’azienda. È una narrativa romantica, quasi eroica. Ma nella pratica, è una delle scelte più autodistruttive che un fondatore possa fare.

All’inizio sembra nobile. “Ogni euro che non prendo è un euro in più per l’azienda”, pensano molti imprenditori. Serve a finanziare un nuovo ingegnere, una campagna marketing o semplicemente ad allungare la runway. E poi c’è la pressione psicologica: dimostrare agli investitori che si è “all in”, completamente dedicati alla missione. Per qualche tempo, funziona anche come badge d’onore. Si vive con poco, si lavora senza sosta, e ci si convince che questo sacrificio sia il prezzo del successo.

Ma dopo uno o due anni, la narrazione inizia a scricchiolare. L’azienda cresce, arrivano i primi dipendenti, e improvvisamente i tuoi collaboratori guadagnano più di te. Tu resti fermo ed hai abbastanza per sopravvivere, ma non per costruire una vita. Non puoi permetterti una casa più grande, non puoi risparmiare, e inizi a sentire il peso di quel “domani migliore” che continua a spostarsi in avanti.

Il debito emotivo del founder

Ciò che all’inizio sembrava frugalità si trasforma lentamente in trascuratezza. Non solo economica, ma psicologica. Dopo anni di lavoro sottopagato, il debito che accumuli non è finanziario: è emotivo. Come il technical debt che rallenta la crescita di un prodotto, il “founder debt” logora la tua energia e la tua motivazione.

Dopo anni di lavoro sottopagato, il debito che accumuli non è finanziario: è emotivo.

È in questo momento che molti imprenditori iniziano a provare risentimento verso la propria azienda. Quel progetto che amavano diventa una gabbia. Si irritano con gli investitori, con i dipendenti, con il mercato — ma in fondo il conflitto è interno. È la sensazione di essersi messi da soli in un angolo, di aver confuso la dedizione con l’autosabotaggio.

Il tabù dello stipendio

Paradossalmente, chiedere un aumento nella propria azienda è spesso più difficile che farlo da dipendente. Molti founder hanno paura di sembrare deboli o avidi davanti al board o ai soci. Ma la verità è che quasi nessuno trova problematico che un founder si paghi un salario equo. Spesso è solo una questione di percezione: si pensa che “un vero imprenditore” debba vivere di sacrifici fino all’exit. In realtà, è esattamente il contrario.

Pagarsi in modo adeguato è un segnale di maturità gestionale. Significa che il business è abbastanza solido da sostenere la leadership, e che chi guida l’azienda si rispetta abbastanza da garantirsi stabilità.

Secondo Routledge — che dopo la vendita di Sanctus è diventato una voce autorevole sul tema della leadership sostenibile — ogni volta che ha negoziato un aumento per sé o per altri founder, non ha quasi mai trovato resistenza. La maggior parte degli investitori, anzi, preferisce vedere un management team sereno e concentrato, non un gruppo di fondatori finanziariamente esausti.

Dallo “studente” al CEO

Il parallelismo con le fasi della crescita aziendale è evidente. Nella sua prima startup, racconta Routledge, si pagava come uno studente e l’azienda si comportava come tale: un progetto entusiasta ma immaturo. Nella seconda, si è dato fin da subito uno stipendio adeguato, e la differenza si è vista: “Abbiamo iniziato a gestire il business come adulti,” scrive.

Un founder che si paga correttamente non solo lavora meglio, ma cambia la cultura interna dell’azienda.

Un founder che si paga correttamente non solo lavora meglio, ma cambia la cultura interna dell’azienda. Non teme di assumere talenti di alto livello o di riconoscere salari competitivi, perché non prova risentimento verso le retribuzioni altrui. Un leader frustrato, invece, rischia di trasmettere una mentalità di scarsità, un bias che può rallentare la crescita del team e compromettere la fiducia reciproca.

La giusta misura

Ovviamente, pagarsi uno stipendio “giusto” non significa gonfiare i costi operativi o ignorare la fase di sviluppo dell’azienda. Significa trovare un equilibrio fra sostenibilità e dignità. Nel mondo delle startup early-stage, esistono metriche e benchmark piuttosto chiari: in Europa, i founder di startup seed si collocano mediamente fra i 50.000 e i 70.000 euro annui, mentre in fase Series A possono superare i 90.000-100.000 euro, allineandosi ai C-level hires che entrano con ruoli di responsabilità.

In molti casi, la differenza fra uno stipendio “basso” e uno “giusto” non è solo numerica, ma psicologica. Quel margine in più può tradursi in decisioni migliori, maggiore lucidità e, soprattutto, meno stress. E questo è un investimento che genera ritorni tangibili sulla performance del founder e sulla salute del business.

Il rispetto come base della leadership

Pagarsi in modo equo non è solo una questione economica. È una forma di rispetto verso se stessi e verso la propria azienda. Un founder che si valorizza comunica un messaggio potente: che il proprio tempo, il proprio ruolo e la propria visione hanno un valore.

Le startup non nascono dal nulla. Nascono da persone che scelgono di investire tutto in un’idea. Ma anche chi crea deve ricordare di prendersi cura di sé. Una leadership sostenibile non si fonda sul martirio, ma sull’equilibrio.

Una leadership sostenibile non si fonda sul martirio, ma sull’equilibrio.

Gli investitori e i team riconoscono e rispettano i founder che sanno darsi un valore. Chi invece continua a sacrificarsi in nome di un ideale astratto rischia di trasformare la propria startup in una fonte di esaurimento, anziché di realizzazione.

Il messaggio di Routledge è chiaro: smettila di comportarti da martire, inizia a pagarti come un leader.
Perché una startup sana ha bisogno di un founder sano — non solo nel corpo e nella mente, ma anche nel portafoglio.


📌 Chi è James Routledge

James Routledge è un imprenditore seriale e investitore britannico, noto per aver fondato Sanctus, una delle prime startup europee dedicate al mental well-being nei luoghi di lavoro. Dopo aver venduto la società, Routledge è diventato una voce influente nel panorama dell’imprenditoria UK, scrivendo e parlando di leadership sostenibile, salute mentale dei founder e cultura aziendale. Oggi è angel investor in diverse startup early-stage e autore di articoli che promuovono un approccio più umano e bilanciato alla crescita d’impresa.

Business Development Manager at Dynamo, Author Manuale di Equity Crowdfunding, Angel Investor in CrossFund, Journalist, Crowdfunding Marketing Strategist, Startup-News.it founder, IED Lecturer.

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