L’Europa vuole rubare talenti tech agli USA — ma con stipendi più bassi e più burocrazia
Scetticismi sull’iniziativa “Choose Europe for Science”, mentre anche l’Italia rivendica i propri sforzi con toni irritati

Il mondo accademico statunitense è sotto pressione a causa delle restrizioni imposte dall’amministrazione Trump, l’Europa cerca di trasformare la crisi americana in un’opportunità strategica. L’obiettivo? Attirare ricercatori di alto profilo oltreoceano grazie all’iniziativa “Choose Europe for Science”, lanciata dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen con un fondo iniziale di 500 milioni di euro.
La proposta mira a posizionare l’Unione Europea come nuova mecca della ricerca scientifica internazionale. Von der Leyen ha parlato di un “errore gigantesco” da parte degli USA nel limitare la scienza aperta, sottolineando che l’Europa aspira a diventare “un magnete per i ricercatori” in fuga dalle politiche americane.
Un’Europa pronta, ma solo sulla carta?
Anche altri Paesi europei si sono mossi in parallelo: il Regno Unito ha messo in campo 59 milioni di euro per attrarre ricercatori, mentre la Francia ha lanciato “Choose France for Science” con un budget di 100 milioni. I Paesi Bassi, a loro volta, stanno strutturando nuovi fondi dedicati.
Molti osservatori e ricercatori mettono in dubbio l’efficacia reale di queste iniziative.
Tuttavia, molti osservatori e ricercatori mettono in dubbio l’efficacia reale di queste iniziative. Le critiche si concentrano su tre ostacoli principali: stipendi inferiori rispetto agli standard americani, burocrazia opprimente e infrastrutture di ricerca spesso obsolete.
“Non si sta parlando dei problemi veri che affronta un ricercatore che vuole trasferirsi”, dice un ricercatore europeo che lavora nel Regno Unito e ha preferito restare anonimo. “Sembra più un’operazione di immagine politica che un piano concreto.”
Una ricerca sotto-finanziata
Il gap tra investimenti annunciati e realtà quotidiana dei ricercatori resta abissale. In Francia, ad esempio, il governo ha recentemente tagliato quasi 500 milioni di euro dal bilancio 2025 per l’istruzione superiore e la ricerca. “È ipocrita fare certi discorsi quando contemporaneamente si tagliano i fondi,” denuncia Gael Varoquaux, direttore della ricerca all’Inria, il prestigioso istituto francese per le scienze e tecnologie digitali.
È ipocrita fare certi discorsi quando contemporaneamente si tagliano i fondi,” denuncia Gael Varoquaux.
Anche Mario Draghi, ex premier italiano ed economista, ha segnalato che l’Europa dovrebbe investire tra i 750 e gli 800 miliardi di euro all’anno in ricerca e innovazione per restare competitiva con Stati Uniti e Cina. Attualmente, l’UE spende solo il 2,24% del PIL in R&D, contro il 3,59% degli USA.
L’Italia: irritazione e retorica
In mezzo a questo dibattito, non è mancata la reazione del ministro italiano dell’Università e della Ricerca, che ha commentato con tono stizzito: “L’Italia sta già facendo la sua parte”, riferendosi a un fondo da 50 milioni di euro destinato alla mobilità dei ricercatori. Ma il tono ha lasciato intendere più frustrazione che convinzione. Come se 50 milioni bastassero. Come se funzionasse davvero. Come se il sistema della ricerca italiano fosse un polo attrattivo per i cervelli del mondo.
l’Italia sforna ogni anno ricercatori di altissimo livello, spesso costretti a emigrare per trovare opportunità concrete.
Eppure, proprio l’Italia sforna ogni anno ricercatori di altissimo livello, spesso costretti a emigrare per trovare opportunità concrete. “Se non siamo in grado di trattenere i nostri talenti migliori,” commenta amaro un docente universitario romano, “figuriamoci se riusciremo ad attrarre quelli americani.”
Narrativa in cambiamento, ma serve di più
Ciononostante, qualcosa sembra muoversi. A ETH Zurich, università svizzera di eccellenza, stanno aumentando le candidature di ricercatori statunitensi. L’Università di Aix-Marseille ha lanciato l’iniziativa “Safe Place for Science”, ricevendo quasi 300 richieste da scienziati americani “minacciati” nei loro studi.
C’è chi intravede un segnale positivo in questa evoluzione. “Ovviamente 500 milioni non bastano,” afferma Andreas Schmidt, cofondatore del gruppo tedesco Springboard Health Angels. “Ma è un messaggio forte: il mondo scientifico sta capendo che negli USA la scienza non ha più un futuro.”
E l’Europa, pur con tutti i suoi limiti, potrebbe diventare la nuova destinazione per le menti brillanti del mondo — ma solo se saprà davvero investire e riformare, e non solo promettere.