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Digital Services Act, cosa prevede per i servizi digitali

Il Digital Services Act (DSA), ovvero il nuovo regolamento che riguarda tutti servizi e le piattaforme digitali che operano (la residenza è secondaria) nella Comunità Europea, dovrà essere rispettato in tutti i paesi comunitari a partire dal 1° gennaio 2024. Inizia così la fase di recepimento, considerata la recente pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Le …

Il Digital Services Act (DSA), ovvero il nuovo regolamento che riguarda tutti servizi e le piattaforme digitali che operano (la residenza è secondaria) nella Comunità Europea, dovrà essere rispettato in tutti i paesi comunitari a partire dal 1° gennaio 2024. Inizia così la fase di recepimento, considerata la recente pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Le grandi piattaforme online, motori di ricerca inclusi, invece dovranno adeguarsi a quattro mesi dopo la loro designazione, quindi di fatto a breve.

Se da una parte la precedente Direttiva ecommerce (2000/31) è servita ad armonizzare i mercati europei riducendo al minimo le costrizioni e favorendo lo sviluppo di nuovi servizi, adesso lo scenario è completamente cambiato e non si poteva più rimandare una correzione di rotta per rispondere a tutte le criticità emergenti – compreso lo strapotere di alcuni player. Rimane l’incentivo all’autoregolamentazione ma il DSA introduce più responsabilità a carico delle piattaforme online, soprattutto se i rispettivi servizi possono incidere sulla vita dei cittadini e condizionare la società.

Il DSA ha come priorità la protezione dei diritti individuali. In pratica questo regolamento europeo (non più semplice direttiva) vuole contribuire “al corretto funzionamento del mercato interno dei servizi di intermediazione stabilendo regole armonizzate per un ambiente online sicuro, prevedibile e affidabile, che faciliti l’innovazione, laddove i diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali UE, compreso il principio della tutela dei consumatori, sono effettivamente tutelati“.

Lo spettro di applicazione riguarda tutti i servizi della società dell’informazione, quindi di fatto quelli a pagamento, basati su pubblicità p basati su altri modelli di business erogati a distanza per via elettronica. Si parla di siti, piattaforme, provider, fornitori di servizi cloud, etc. Come sottolinea il giurista Innocenzo Genna il DSA si applica anche a servizi extraterritoriali – come avviene per il GDPR, e comunque deve esserci sempre un rappresentante nell’UE.

Per quanto riguarda i servizi di hosting o di altro tipo viene riconosciuta, come in passato, la non-responsabilità delle informazioni archiviate per conto di un cliente ma a patto di non essere a conoscenza di attività illecite o contenuti illegali, oppure di non aver contravvenuto a comunicazioni di irregolarità. Cambia invece il sistema di notifica e rimozione di contenuti illegali: sono state stabilite quattro categorie di fornitori con obblighi crescenti.

DSA, gli obblighi crescenti dei fornitori di servizi

DSA declina la tipologia di attori in servizi intermediari, hosting provider, piattaforme online (es. Facebook o social in genere) e piattaforme di grandi dimensioni. In pratica a seconda delle dimensioni vengono richieste modalità di reazione e gestione, trasparenza e rendicontazione di diverso tipo. Le micro e piccole imprese sono esentate da molti obblighi, ma tutte le piattaforme (anche motori di ricerca) con oltre 45 milioni di utenti hanno il massimo onere di responsabilità e quindi devono adottare ad esempio anche sistemi di prevenzione.

Un’altra novità è che gli intermediari sono finalmente autorizzati a poter svolgere indagini volontarie in buona fede o altre attività volte a individuare e rimuovere contenuti illeciti. Vietato comunque il monitoraggio diffuso.

A tutti i servizi viene chiesto di fornire termini di servizio e condizioni comprensibili con un linguaggio facile e senza ambiguità. Si parla anche i trasparenza sulla politica di moderazione dei contenuti, il processo decisionale algoritmico, la revisione umana e la gestione dei reclami. Non solo. In caso di utenza tendenzialmente minorenne la comunicazione deve essere ancora più semplice da comprendere.

Per quanto riguarda la moderazione viene chiesto alle piattaforme di esplicitare le tecniche di intervento, i margini di errore se vengono impiegate modalità automatiche, funzionamento, etc. Invece per il trattamento dei reclami bisognerà sempre fornire informazioni dettagliate su eventuali blocchi degli account, rimozioni, etc. E bisognerà rendere disponibili opzioni di conciliazione.

Il DSA impone anche per la pubblicità che sia esplicitata e con informazioni chiare; dovranno essere fornite anche informazioni sulle pratiche di targeting e sulle possibilità di modifica delle stesse. I sistemi di raccomandazione dovranno essere accompagnati da termini di servizio che svelino il funzionamento. Inoltre dovrà essere presente almeno un un’opzione per un sistema di raccomandazione alternativo non-basato sulla profilazione. Permane il divieto di pubblicità destinata ai bambini.

DSA, Coordinatore dei Servizi Digitali in ogni paese

In ciascuno Stato membro dovrà poi essere istituito un Coordinatore dei Servizi Digitali che avrà il compito di vigilare sull’applicazione del DSA nei confronti degli intermediari più piccoli che hanno la loro sede principale localmente. Avranno anche funzioni investigative, la possibilità di attuare provvedimenti cautelari e sanzionatori. L’importo massimo delle ammende sarà pari al 6 % del fatturato mondiale annuo del fornitore. Nel caso di informazioni errate, incomplete o fuorvianti, mancata risposta o rettifica di informazioni errate, incomplete o fuorvianti e di mancata presentazione a un’ispezione, la sanzione potrà arrivare all’1% del reddito annuo o del fatturato mondiale.

Prevista anche l’apertura di un Centro europeo di alto profilo per la trasparenza algoritmica.

Giornalista tech e digital da oltre 20 anni per quasi tutte le principali testate del settore. Oggi collaboro con Italian Tech e Green & Blue di Repubblica.it, Wired e HdBlog. Ho fondato la mia prima startup nel 2001 quando ancora non si chiamavano così. Core business? Contenuti editoriali per il Web... ça va sans dire

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