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Gestire le quote di una startup tra co-fondatori: le lezioni di Y Combinator

Dividere le quote di una startup. Questo articolo, basato sui consigli di Michael Seibel di Y Combinator, si rivolge a fondatori di startup tecnologiche software ancora lontane dal product market fit ma intenzionate a raccogliere fondi da venture capitalist.

Quando si parla di startup in fase iniziale, c’è un tema che genera più tensioni di qualsiasi altro: la suddivisione delle quote di una startup tra co-fondatori. Questo articolo, basato sui consigli di Michael Seibel di Y Combinator, si rivolge a fondatori di startup tecnologiche software ancora lontane dal product market fit ma intenzionate a raccogliere fondi da venture capitalist.

Le quote di una startup, se gestite male, possono distruggere anche la migliore delle squadre.

Nel mondo delle startup, è facile lasciarsi affascinare dall’idea geniale o dal primo prototipo funzionante. Ma la realtà è che l’elemento più critico in assoluto nelle fasi iniziali è la squadra dei fondatori. Non basta avere una buona idea: bisogna avere un team solido, motivato e allineato. E le quote di una startup, se gestite male, possono distruggere anche la migliore delle squadre.

Il principio chiave: generosità e lungimiranza

Il consiglio principale di Seibel è semplice: bisogna essere generosi con le quote. Nei primi anni, i fondatori lavorano duramente, spesso senza stipendio, in condizioni di grande incertezza. È qui che la motivazione conta più di tutto, ed è qui che l’equity gioca un ruolo cruciale.

Molti commettono l’errore di pensare alle quote come ricompensa per ciò che è già stato fatto, mentre in realtà le quote servono a motivare il lavoro futuro.

Molti commettono l’errore di pensare alle quote come ricompensa per ciò che è già stato fatto (l’idea, il primo prototipo, i mesi spesi in solitudine), mentre in realtà le quote servono a motivare il lavoro futuro. In una startup, il 99% del lavoro viene dopo. L’equità deve premiare chi sarà presente nel lungo periodo, non solo chi è partito per primo.

Equity quasi uguale: quando 50/50 non è solo fair, è smart

Uno degli errori più comuni è dividere l’equità in modo fortemente diseguale. “Io ho avuto l’idea”, “Io ho lavorato sei mesi prima”, “Il mio co-fondatore ha bisogno di uno stipendio, io no”: sono tutte giustificazioni deboli. L’idea è importante, certo, ma senza esecuzione non vale nulla. E sei mesi sono nulla rispetto a una maratona di 10 anni.

L’idea è importante, ma senza execution non vale nulla. E sei mesi sono nulla rispetto a una maratona di 10 anni.

Se entrambi i co-fondatori sono full-time e contribuiscono in modo critico all’execution, allora una divisione quasi paritaria delle quote di una startup è la scelta migliore. Non solo rafforza la fiducia reciproca, ma aiuta a mantenere la motivazione quando la startup attraversa momenti difficili (che arriveranno, sempre).

Vesting e cliff: i salvagente legali

Essere generosi non significa essere incoscienti. Proprio per proteggere la startup e rendere possibile questa generosità iniziale, esistono due strumenti fondamentali: vesting e cliff.

  • Vesting: le quote vengono maturate nel tempo, di solito su un arco di 4 anni. Se un fondatore lascia dopo due anni, riceve solo la metà delle sue quote.

  • Cliff: è un periodo (di solito 1 anno) dopo il quale si inizia a maturare l’equity. Se un fondatore se ne va prima, non prende nulla.

Questi strumenti, ormai standard nella Silicon Valley, permettono di essere equi e flessibili. Se le cose non vanno bene con un co-fondatore, si può procedere con una separazione senza compromettere la cap table.

Chi è davvero un co-fondatore?

Non tutte le persone coinvolte all’inizio meritano lo stesso status. Il titolo di co-fondatore dovrebbe essere riservato a chi è essenziale per costruire l’MVP, validare l’idea e parlare con i primi clienti.

Il titolo di co-fondatore dovrebbe essere riservato a chi è essenziale per costruire l’MVP, validare l’idea e parlare con i primi clienti.

Vedere startup con 5 o 6 co-fondatori è un segnale negativo. Più il team è ampio, più è difficile prendere decisioni rapide e gestire conflitti. Dare quote di una startup a chi non è essenziale può compromettere il futuro, soprattutto in fase di fundraising. Gli investitori guardano con sospetto cap table troppo affollate.

Come gestire le rotture tra co-fondatori

Le rotture sono comuni. Affrontarle con maturità è fondamentale. Y Combinator propone alcune regole di buon senso:

  • Se un co-fondatore lascia prima del cliff: può ricevere tra lo 0,5% e il 2% come riconoscimento simbolico.

  • Se lascia dopo il cliff ma prima del vesting completo: in genere non dovrebbe trattenere più del 5%.

  • Liquidazione: se viene licenziato, può ricevere 1-3 mesi di stipendio. Se se ne va da solo, niente liquidazione.

  • Deve firmare una liberatoria, cedere i diritti di voto, e dimettersi da ogni carica formale.

Tutto questo deve essere messo nero su bianco in accordi firmati, meglio se con l’assistenza di un legale esperto in startup.

Il ruolo del CEO: essere il capitano della nave

Il CEO deve avere il potere di prendere decisioni difficili. Anche licenziare altri co-fondatori, se necessario. La startup è una nave in mare aperto, e il CEO è il capitano. Questo vale anche se il CEO non sta performando: il team deve avere un piano B.

Le peggiori giustificazioni per quote diseguali

Ci sono molte “scuse” che sembrano logiche ma non lo sono:

  • “Ho avuto l’idea” → L’idea vale poco senza execution.

  • “Sono partito prima” → Sei mesi sono irrilevanti.

  • “Lui vuole lo stipendio” → Lo stipendio serve per vivere, l’equity per motivare.

  • “Sono più esperto” → L’esperienza è utile, ma non giustifica il 90% dell’equity.

Cosa evitare assolutamente

  • Quote legate a performance: difficili da misurare, cambiano col tempo.

  • Co-fondatori part-time: inaccettabile in fase pre-product market fit.

  • Schemi dinamici o complicati: generano insicurezza. Meglio chiarezza, vesting e cliff.

Un esempio concreto

Immagina una startup con tre fondatori: uno è sviluppatore, uno è designer e uno si occupa di business development. Tutti lavorano full-time, condividono rischi, responsabilità e visione.

L’equità consigliata? 33/33/33 con vesting su 4 anni e 1 anno di cliff. Semplice, trasparente, motivante. Se uno di loro dovesse andarsene dopo 18 mesi, riceverebbe circa il 37% delle sue quote totali, e le restanti tornerebbero nel pool per motivare futuri collaboratori.

Quote di una startup: uno strumento di crescita, non di controllo

Molti fondatori vedono l’equity come potere. In realtà, in fase iniziale, dovrebbe essere un carburante per la motivazione. Il vero potere viene dal costruire qualcosa che funziona, che cresce, che conquista utenti. Se un co-fondatore è motivato, la startup ha più chance di sopravvivere. Se è frustrato per una distribuzione ingiusta, le possibilità di successo crollano.

Ultime considerazioni

Nei primi 4-6 anni di vita, le startup affrontano ostacoli enormi. È in questo periodo che si crea valore – o si fallisce. Le quote di una startup, se gestite bene, diventano un collante per il team. Se gestite male, diventano una bomba a orologeria.

Essere generosi all’inizio, con vesting e cliff come rete di sicurezza, è il miglior modo per attrarre e mantenere talenti, per costruire un prodotto, per convincere gli investitori, e soprattutto per avere una squadra che rema nella stessa direzione.

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Business Development Manager at Dynamo, Author Manuale di Equity Crowdfunding, Angel Investor in CrossFund, Journalist, Crowdfunding Marketing Strategist, Startup-News.it founder, IED Lecturer.

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