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Corporate Venture Capital in Italia: i dati del nuovo rapporto

Lo scenario del Corporate Venture Capital (CVC) in Italia è in fase di trasformazione. Sebbene il Paese registri ancora numeri inferiori rispetto agli standard europei e statunitensi, emergono segnali incoraggianti di crescita, consolidamento e una maggiore consapevolezza del potenziale strategico di questo strumento.

È quanto evidenziato nel nuovo Rapporto sul Corporate Venture Capital in Italia, presentato da Italian Tech Alliance in collaborazione con Growth Capital, lo studio legale Rucellai & Raffaelli, Soverency e altri attori dell’innovazione. Il documento fornisce un’analisi dettagliata del panorama nazionale e un confronto con i mercati internazionali.

Un confronto con Europa e Stati Uniti

Negli Stati Uniti il Corporate Venture Capital è ormai un asset consolidato: nel 2024, i CVC hanno partecipato a ben 2.883 round, per un valore complessivo superiore ai 108 miliardi di dollari. Circa un round su cinque ha visto la presenza di investitori corporate, generando circa la metà del capitale investito totale.

Negli Stati Uniti il Corporate Venture Capital è ormai un asset consolidato: nel 2024, i CVC hanno partecipato a ben 2.883 round, per un valore complessivo superiore ai 108 miliardi di dollari.

Anche in Europa si registra una crescita significativa: i CVC sono coinvolti nel 20% dei round, corrispondenti al 47% del capitale raccolto, per un totale di 28 miliardi di dollari nel 2024. L’Italia, invece, resta ancora ai margini di questa dinamica.

CVC in Italia: una presenza emergente

Nel 2024, i CVC hanno preso parte a soli 15 round in Italia, per una raccolta complessiva di 69 milioni di euro. L’anno precedente, il 2023, aveva fatto segnare un risultato apparentemente più rilevante – 228 milioni di euro in 19 round – ma solo grazie ad alcuni casi eccezionali. Se si escludono gli outlier, l’incidenza del CVC sul venture capital italiano è minima: circa 5% del capitale investito e tra il 4% e il 6% dei round complessivi negli ultimi cinque anni.

Un dato ancora più significativo è che il 59% dei round che hanno coinvolto CVC italiani ha finanziato startup estere, le quali rappresentano l’80% dell’ammontare totale investito. Esempi emblematici di questa tendenza sono Angelini Ventures ed Eni Next, che hanno destinato la maggior parte delle loro operazioni a realtà internazionali: solo 2 su 14 investimenti per Angelini e 4 su 27 per Eni Next hanno riguardato startup italiane.

Il 59% dei round che hanno coinvolto CVC italiani ha finanziato startup estere, le quali rappresentano l’80% dell’ammontare totale investito.

I settori preferiti dai CVC italiani

L’analisi del report mette in luce una forte coerenza tra le strategie di investimento dei CVC italiani e i settori core delle rispettive aziende. In particolare, gli ambiti privilegiati sono:

  • Smart City

  • FinTech

  • Life Sciences

  • Education & HR

In questi settori, le imprese non cercano solo ritorni finanziari, ma anche sinergie tecnologiche funzionali alla crescita aziendale. Si parla quindi di una strategia “driving”, orientata a integrare l’innovazione nelle operations aziendali.

I modelli operativi adottati

L’ecosistema CVC italiano adotta prevalentemente modelli di investimento diretto, spesso attraverso strutture non regolamentate, organizzate come veicoli evergreen. Accanto a questi si diffondono anche modelli ibridi, che integrano investimenti diretti e indiretti (come nel caso di Angelini Ventures ed Edison), e la partecipazione a fondi multi-corporate, come il CDP Corporate Fund.

Queste scelte riflettono una fase ancora sperimentale, in cui le imprese italiane cercano di capire come strutturare in modo efficiente la propria strategia di investimento in startup.

Prospettive: verso un CVC maturo

Secondo il report, il CVC in Italia si trova in una fase di transizione. Per diventare una leva stabile per l’innovazione industriale, è necessario:

  • strutturare team dedicati e autonomi;

  • definire metriche chiare e strumenti operativi efficaci;

  • ottenere l’endorsement del top management aziendale;

  • abbandonare la visione tattica del CVC a favore di una prospettiva strategica di lungo periodo.

Il potenziale è ampio, ma serve un deciso cambio di passo culturale.

Le voci dei protagonisti

Davide Turco, Presidente di Italian Tech Alliance, sottolinea che il CVC “rappresenta un’opportunità strategica per rafforzare il legame tra grandi corporate e innovazione”, ma avverte che “servono maggiore consapevolezza, strutture dedicate e un cambio di mentalità per trasformarlo in un motore stabile di crescita e competitività”.

Enrico Sisti, partner di Rucellai & Raffaelli e coordinatore del report, richiama alla memoria l’esperienza storica di Olivetti, che negli anni ’80 fu protagonista di uno dei primi esempi di CVC in Europa, contribuendo alla nascita di ARM, poi oggetto della più grande IPO del 2023. Per Sisti, oggi “servono prassi di mercato che facilitino i followers e un allineamento di interessi con i co-investitori”.

Fabio Mondini de Focatiis, founding partner di Growth Capital, è netto: “Il Corporate Venture Capital è ancora troppo poco utilizzato in modo strutturato e strategico. Per colmare il gap con i benchmark internazionali servono team dedicati e una maggiore integrazione tra startup e corporate”.

Un’occasione da non perdere

Il rapporto rappresenta un punto di partenza importante per una riflessione strutturata sul futuro del CVC in Italia. Le sfide non mancano, ma il contesto è maturo per un’evoluzione del ruolo delle grandi imprese nel sostenere l’ecosistema startup.

Italian Tech Alliance, attraverso questa iniziativa, punta proprio a questo: far crescere una cultura del CVC capace di incidere realmente sull’economia dell’innovazione del Paese.

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