Lovable e la corsa all’ARR: il lato nascosto del successo lampo delle startup AI

In un ecosistema tech dove le metriche di crescita sono spesso ostentate come trofei, la sigla ARR (annual recurring revenue) è diventata il nuovo standard per decretare il successo di una startup. Lovable, azienda svedese specializzata in “vibe coding”, è oggi la protagonista indiscussa: da 1 a 100 milioni di dollari di ARR in soli otto mesi. Un’impresa che, secondo il fondatore Anton Osika, la rende la startup in più rapida crescita non solo in Europa, ma a livello globale.
Un traguardo straordinario, certo. Ma mentre su LinkedIn impazzano i post celebrativi, cresce anche lo scetticismo di chi mette in guardia sul significato reale di questa metrica se isolata da altri indicatori fondamentali, come churn rate e margini.
La nuova era dell’ARR
L’ARR rappresenta una stima del ricavo annuale generato da abbonamenti ricorrenti. Tradizionalmente utilizzata dagli investitori per valutare le aziende SaaS, negli ultimi mesi è diventata una vera e propria medaglia al valore tra le startup AI.
Fino a pochi anni fa, raggiungere 100 milioni di ARR in cinque anni era considerato un benchmark d’élite per una software company. Nel 2020, ad esempio, Hopin fece notizia tra i VC per aver toccato i 20 milioni in otto mesi. Oggi, lo standard è stato stravolto. Lovable ha polverizzato ogni precedente, seguita da casi come Replit (da 5,5 a 100 milioni di ARR in cinque mesi) e Cursor (da 1 a 100 milioni in un anno).
Secondo Judith Dada, general partner di Visionaries Club e investitrice in Lovable, il dato è ancor più impressionante considerando la dimensione ridotta del team: “Hanno raggiunto i 100 milioni di ARR con un team incredibilmente snello. Quello che richiedeva centinaia o migliaia di dipendenti in aziende SaaS tradizionali, Lovable lo ha fatto con 45 persone”.
Ma l’azienda non è sola. La scorsa settimana, una startup costruita con Lovable è stata celebrata per aver raggiunto 100k ARR dopo una sola settimana dal lancio. Sembra l’inizio di una nuova stagione record. Eppure, dietro l’euforia, alcuni esperti del settore invitano alla cautela.
Il nodo del churn
“Non puoi calcolare l’ARR basandoti su un abbonamento mensile senza considerare il churn rate”, avverte Christoph Gerber, fondatore di Talon.One ed ex CEO di Lieferando. “La gente sta sovrainvestendo su un’unica metrica”.
Il churn — ovvero il tasso di abbandono dei clienti — è il vero tallone d’Achille in questi casi. Un MRR (monthly recurring revenue) elevato non garantisce automaticamente un ARR solido, se gli utenti non restano nel tempo.
Un esempio lampante arriva dall’investitore Fabrice Grinda, che nel podcast 20VC ha ricordato il caso di una startup AI diventata virale per i profili fotografici generati artificialmente. “Il loro MRR passò da 250k a 30 milioni in un mese, ma con un churn del 99%, sono tornati a 500k il mese successivo. E in quel momento riuscirono anche a raccogliere capitali”.
Jag Singh, managing partner di Angel Invest, è ancora più diretto: “L’ARR era un’abbreviazione per indicare ricavi ricorrenti veri e propri — non basati sull’uso, né sulle transazioni, né tantomeno sui servizi”. E quando sui social si leggono annunci tipo “1 milione di ARR in 24 ore”, Singh si chiede spesso: “È ARR contrattualizzato non ancora fatturato? O è solo un calcolo arbitrario basato su una settimana calda moltiplicata per 52?”.
Lovable, dal canto suo, ha dichiarato a Sifted di utilizzare “una metodologia di riconoscimento dell’ARR conforme agli standard di settore e in linea con le aspettative degli investitori”. Tuttavia, ha rifiutato di commentare il churn rate o la suddivisione tra abbonamenti mensili e annuali.
Secondo Thomas Cuvelier, investitore in RTP e angel investor di Lovable, gli utenti enterprise — come Klarna, Hubspot e Photoroom — hanno tassi di churn molto più bassi rispetto agli utenti occasionali o studenti, rendendoli la base più solida su cui puntare.
Una fonte vicina a Lovable ha confermato a Sifted che l’azienda non è preoccupata del churn tra i clienti a basso valore, confidando nella fidelizzazione degli utenti premium.
Il problema dei margini
Oltre al churn, i margini sono l’altra grande incognita. “Potrei vendere oro a 90 centesimi al dollaro e diventare il più grande commerciante del mondo in una settimana. Ma significherebbe pagare la gente per acquistare il mio prodotto”, ironizza ancora Gerber.
Il parallelo con il boom (e crollo) del delivery ultra-rapido tra 2021 e 2022 è chiaro: anche lì i numeri di acquisizione clienti erano alti, ma i margini bassissimi.
Nel software, i margini dovrebbero invece migliorare nel tempo, grazie ai costi marginali decrescenti. Ma ciò avviene solo se la retention è solida. Angel investor Cuvelier osserva come molte startup AI debbano prima finanziare gli utenti freemium, nella speranza che passino a un piano a pagamento.
Nel caso di Lovable, la spesa è legata all’uso dei modelli di terze parti. L’azienda si appoggia all’AI di Claude, sviluppata da Anthropic, per alimentare il proprio builder di siti web e app. Secondo una fonte, i margini sarebbero migliorati a maggio grazie all’aggiornamento del modello Claude, ma potrebbero peggiorare con l’introduzione di un nuovo sistema agentico, più avanzato ma anche più costoso da eseguire.
Anche in questo caso, Lovable ha preferito non commentare.
Una crescita sostenibile?
La vera sfida per le startup AI non è tanto generare ARR, ma trasformarlo in crescita sostenibile e redditizia. “Devono dimostrare di saper trattenere i clienti e aumentare il loro valore nel tempo”, sottolinea Singh. “Devono migliorare i margini, in modo che ogni dollaro di ARR contribuisca davvero ai profitti”.
Secondo Singh, molti prodotti AI oggi sono costruiti su margini sottili e bassi costi di switching: se un utente trova un’alternativa migliore, cambia facilmente. Il futuro delle aziende come Lovable dipenderà dalla loro capacità di evolvere in piattaforme che offrono hosting, pagamenti e gestione dei flussi di lavoro, non solo servizi di “vibe coding”.
E conclude: “I VC hanno imparato qualcosa dai tempi di Gorillas e Hopin. Oggi competiamo per offrire term sheet ai team che — si spera — sanno adattarsi con la stessa velocità con cui crescono i loro ricavi”.
Fonte: Sifted
Approfondimento. Che cosa vuol dire: ARR?
ARR sta per Annual Recurring Revenue, ovvero ricavi ricorrenti annuali. È una metrica fondamentale per le startup, in particolare per quelle che operano con modelli di abbonamento (come le SaaS), e rappresenta la previsione di entrate che un’azienda può aspettarsi di generare ogni anno sulla base dei contratti attivi.
Questa metrica permette di valutare quanto velocemente cresce la base di clienti di un’azienda e viene spesso utilizzata dagli investitori per stimare il valore di una tech company. Tuttavia, come evidenziano alcuni esperti, il solo ARR può essere fuorviante se non accompagnato da altri indicatori come il churn rate (tasso di abbandono) o i margini operativi.