Storie

Tra OKR e home working, innovazioni nel modo di lavorare

R-Everse, innovativa società di head hunting nata nel 2017 e unica in Europa ad applicare il metodo del recruitment collaborativo, assicurando specializzazione in ogni area professionale.

Alessandro Raguseo è, insieme a Daniele Bacchi, CEO e Founder di R-Everse, innovativa società di head hunting nata nel 2017 e unica in Europa ad applicare il metodo del recruitment collaborativo, assicurando specializzazione in ogni area professionale.

Nel 2020 la società è stata classificata da Great Place to Work al terzo posto tra le migliori aziende in Italia in cui lavorare (20/49 collaboratori), al primo posto nella classifica dedicata alle migliori aziende per le donne ed è stata premiata tra le aziende che favoriscono maggiormente l’innovazione nei processi interni. È presente in 4 sedi, conta più di 60 dipendenti e si avvale di una community esterna, una rete internazionale di oltre 500 Scout.

Abbiamo fatto con loro quattro chiacchiere.

Da quando è scoppiata la pandemia Covid-19, gli italiani hanno “scoperto” lo smart working. Quali sono le principali innovazioni in grado di accompagnare lavoratori e aziende in questo profondo cambiamento nel modo di lavorare e collaborare? E come si collocano le startup in questo contesto?

Gli italiani hanno in realtà scoperto l’home working che è uno step di avvicinamento, per quanto dolorosamente divenuto necessario, a un vero smart working. La principale innovazione non è tecnologica ma concettuale: cosa si intenda per lavoro. Tradizionalmente abbiamo sempre detto “ho trovato un posto di lavoro”, anche nell’espressione c’era il concetto del luogo. Il lavoro era un’attività svolta in un preciso arco di tempo in un dato luogo. Il capo quello che impartiva le direttive. La strategia pensata nella stanza dei migliori, almeno supposti tali, cervelli dell’organizzazione. Le innovazioni non sono tecnologiche, i tools digitali sono uno strumento, e non sono nemmeno nuove. Dobbiamo solo adottare cose vecchie, già esistenti, e portarle in azienda. Il darsi un senso come organizzazione e darlo a tutte le persone che ne fanno parte. Perché se tutti condividiamo quel senso sarà facile avere un’organizzazione che si muove per obiettivi, che punta al miglioramento e alla felicità professionale. Dove il capo è allenatore e mentore e dove la fiducia negli altri è nativa. Non si deve guadagnare perché si condivide il senso ultimo. La fiducia è sempre nativa quando si condivide il senso. Da questo punto di vista le start up hanno un vantaggio enorme: sono dotate di senso per nascita. Sono geneticamente portatrici di senso. È la voglia di affermare la propria idea, il proprio modello di business. O inizialmente anche solo quel senso, chiamiamolo istinto, alla sopravvivenza.

Un’innovativa metodologia di lavoro è quindi quella denominata “Objective and key results”. Ma di cosa si tratta? Come Viene utilizzata nel mondo dell’HR e più in particolare nella gestione degli smart worker?

Gli OKR sono dei boomers, nati negli anni ’60, eppure non possono passare di moda. Sono intergenerazionali: gli OKR sono i Beatles. Rappresentano un’ottima metodologia per distribuire la strategia all’interno dell’organizzazione in modo partecipativo, con la possibilità di cambiarla con una frequenza altissima, normalmente il quarter, rispetto alle strategie pensate in fase di budgeting o business plan con cadenza almeno annua. E, tra l’altro, budget e business plan possono convivere con gli OKR, che non sono un’alternativa ma semmai un mezzo. Cosa sono: l’azienda si pone ogni quarter 2 o 3 grandi obiettivi che vuole cogliere. Obiettivi importanti, possibili ma davvero difficili, non conservativi come quelli che si scrivono nei budget.  E tutta l’organizzazione si interroga, in ogni suo dipartimento, su come possa dare un significativo contributo a quella sfida (quasi) impossibile declinando in autonomia i propri obiettivi. Definito l’obiettivo si scrivono anche i key results. Non solo il cosa voglio raggiungere ma anche le azioni necessarie per avvicinarmi a quell’obiettivo. Il tutto deve essere misurabile da numeri, metriche. Se il miglioramento non è misurabile è anche altamente probabile che sia impalpabile. Ultima cosa: nessun sistema incentivate o progressione di carriera è legata al raggiungimento degli OKR. Per questo occorre il senso, o mission o purpose (o la prossima parola che verrà coniata e diventerà trendy tra qualche mese). In assenza di questo gli OKR saranno un fallimento. Ovviamente gli OKR per la loro natura stessa – incentrati sul mettere a fuoco degli obiettivi e perseguirli – sono perfetti per chi lavora in smart working. Però: non è che si introducono gli OKR e allora si può lavorare in smart working senza problemi, non funziona così. Occorre creare prima una cultura aziendale basata sugli obiettivi e sul senso. E poi si introducono gli OKR per accelerare ulteriormente lo sviluppo.

Per altro per tutti questi motivi non considero gli OKR uno strumento dell’HR ma dell’organizzazione. È evidente che l’HR può esserne però il facilitatore.

Più in generale, quanto può essere importante l’innovazione nel settore dell’HR? In R-Everse come viene vissuta e come si applica?

L’innovazione non funziona a compartimenti o dipartimenti: innovazione nel marketing, nel sales o nell’HR. Penso funzioni a organizzazioni. Esistono organizzazioni, somma di persone, che hanno nella loro cultura la passione per il miglioramento. Sempre. Scopo dell’imprenditore è assumere persone eccellenti che soffrano per le cose che si potrebbero migliorare anche in un contesto aziendale di grande crescita, come ad esempio la nostra realtà. Noi in R-Everse facciamo agile head hunting e dal mondo agile abbiamo saccheggiato a piene mani. Ogni nostra invenzione è figlia di esplorazioni, test, iterazioni successive, feedback, retrospettive, MVP e quant’altro. Tanti errori, modifica delle variabili, studio analitico dei dati, verifica e messa in discussione delle assumptions. E si riparte. Il motore di tutto è sempre lo stesso: la sofferenza. Sofferenza per ciò che abbiamo migliorato in modo sensazionale ma ancora non ci soddisfa né mai, immagino, lo farà.

Nel settore dell’HR sono fondamentali le relazioni. Ma come si gestisce il rapporto umano attraverso il digital? Come l’innovazione può favorirlo?

Le relazioni sono ovviamente fondamentali nell’HR. Se l’HR occupa una grossa percentuale del suo tempo in attività che la digitalizzazione e l’innovazione possono portare ad un intorno dello 0%, quel tempo potrà essere dedicato alla crescita della relazione. Per altro la cura delle relazioni in “presenza” non è sinonimo di buona relazione. Ho visto organizzazioni in presenza costante e piene di veleno al loro interno. È che le relazioni sono buone o cattive, sincere e trasparenti o torbide e ingannevoli, prescindendo dal canale. Digitale o in presenza. Detto tutto questo non immagino un futuro di organizzazioni in costante e full remote working, né lo auspico. La socialità e lo sviluppo delle relazioni deve avere anche dei momenti di presenza, purché siano di qualità. Improntate alla crescita.

Giornalista hi-tech e formatore. Dopo la laurea con tesi sulle relazioni on-line nel 2001, ha lavorato per una dozzina d'anni nel settore dell’editoria informatica (Computer Idea, Il Mio Computer e altri). Ha scritto 16 tra saggi e manuali su Internet, PC, smartphone e social (su tutti Facebook e LinkedIn) ed è direttore della collana "Fai da tech" di Ledizioni. Attualmente si occupa di formazione sui temi del digitale. Sito Web: www.gianluigibonanomi.com

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