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Twitch vuole spremere i suoi migliori streamer: battaglia sui ricavi pubblicitari

Aumentare la propria commissione sugli abbonamenti dei canali degli streamer. La politica di Twitch che provoca scontento fra i creator

C’è maretta tra Twitch e i suoi content creator più famosi: ovviamente è una questione di soldi. La community sospetta che Amazon – che ha acquisito la piattaforma nel 2014 per 970 milioni di dollari – voglia incrementare i ricavi a scapito degli 8 milioni di streamer e i 31 milioni di utenti quotidiani.

Durante l’ultimo TwitchCon di San Diego, The New York Times ha intervistato creator e fan per sondare il terreno. Ebbene molti streamer sono convinti che siano cambiati gli obiettivi e che i profitti siano la nuova priorità. Non a caso negli ultimi anni circa 20/30 star di Twitch sono passate alla concorrenza, ovvero YouTube.

Gli animi si sono accesi quando Twitch ha comunicato l’intenzione di aumentare la propria commissione sugli abbonamenti dei canali degli streamer. Allo stesso tempo la piattaforma spinge affinché vengano pubblicati più annunci pubblicitari. In sintesi i content creator dicono che le loro esigenze sono state messe in secondo piano, che la comunicazione con l’azienda è peggiorata e che si sta puntando di più sull’assunzione di ingegneri che referenti di contatto.

Samantha Faught, portavoce di Twitch, è di un’altra opinione. Ha ricordato che la piattaforma negli ultimi due anni ha triplicato il numero di dipendenti nei ruoli di contatto con la community e che ha incrementato le funzioni dedicate ai feedback degli streamer. La questione è un’altra, a suo parere: la grande crescita degli ultimi tempi ha reso più difficile la comunicazione personalizzata e stretta, tutto qui.

Poi sono si sono concretizzate anche concessioni. La prima a giugno quando è stato annunciato il passaggio da un calcolo per le entrate pubblicitarie a CPM fisso (per 1000 visualizzazioni) a compartecipazione basata su percentuale. “Questo nuovo modello paga ai creator il 55% delle entrate per ogni annuncio pubblicato sul loro stream. Questa modifica rappresenta un aumento del 50-150% della tariffa pubblicitaria per la stragrande maggioranza dei creatori su Twitch“, sostiene la piattaforma. Poi è stata abbassata la soglia minima di incasso a 50 dollari, contro i precedenti 100 dollari. E infine recentemente è stata sbloccata la possibilità di trasmettere su piattaforme rivali.

Quindi qual è esattamente il problema? Se uno dei più noti streamer, Hasan Piker, distribuisce al suo stand volantini titolati con “Twitch ruba il 30% delle entrate dai creatori di contenuti“, è evidente l’intenzione di scatenare una guerra soprattutto in vista del prossimo giugno, quando le percentuali scenderanno al 50-50 (dopo il superamento di 100mila dollari di entrate). In pratica secondo Piker è come se si trattasse di una tassa sui ricchi. Però Dan Clancy, presidente di Twitch, ha ricordato che questo permetterebbe di pagare i costi crescenti dell’hosting del live streaming, a vantaggio degli stessi streamer.

In definitiva, più facciamo crescere il nostro pubblico, più i nostri streamer ne traggono vantaggio“, ha dichiarato il presidente. “Gran parte di questo sforzo riguarda il tentativo di raggiungere la posizione che ci consente di continuare a sostenere e di poter investire, di poter crescere“. L’indirizzo quindi è di rendere più attraenti gli accordi standard invece che favorire 0,1% più ricco degli streamer.

Anche sul fatto che Amazon stia spingendo sui ricavi per controbilanciare il rallentamento delle attività principali pare infondato, almeno secondo Clancy: “Ci danno molta libertà; sono molto ottimisti su Twitch. E quindi questo aspetto non è una di quelle cose dove c’è ingerenza“. Gli analisti per altro stimano che i dipendenti della piattaforma siano non più di 1800 e che vi sia profitto.

Bisogna però registrare negli ultimi anni l’abbandono di diversi manager storici. Ben Goldhaber, che ha guidato il marketing dei contenuti ed è stato uno dei primi assunti di Twitch, ha ammesso che il legame costruito con gli streamer ha favorito la crescita ma oggi è tutto è diverso. Da quando è stato licenziato nel 2018 “si sono allontanati da questa strategia originale di rendere felici i creatori“. Kevin Lin, co-fondatore e chief operating officer di Twitch, che ha lasciato nel 2020 è dello stesso avviso. Così come Sara Clemens, che sostituì Lin, e Michael Aragon, il chief content officer, usciti entrambi nel 2022. “Purtroppo, ogni dirigente che aveva quella mentalità se ne è andato“, ha dichiarato Zachary Diaz, che ha lasciato a gennaio. E gli attuali referenti di contatto sembrano condividere – sebbene anonimamente – la visione degli streamer. Si parla insomma di “scelte dirigenziali“. Anche se un occhio esterno potrebbe cogliere in questi contrasti una tipica dialettica contrattuale, sebbene scomposta.

Giornalista tech e digital da oltre 20 anni per quasi tutte le principali testate del settore. Oggi collaboro con Italian Tech e Green & Blue di Repubblica.it, Wired e HdBlog. Ho fondato la mia prima startup nel 2001 quando ancora non si chiamavano così. Core business? Contenuti editoriali per il Web... ça va sans dire

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