Equity crowdfunding, quando è meglio dire di no
Questa settimana ho rifiutato di seguire una campagna di equity crowdfunding. Per me e per Dynamo sarebbe stata la cinquantaquattresima o cinquantacinquesima campagna, ho perso il conto, ma questo poco importa. Ho rifiutato di seguirla e alla fine i founder mi hanno ringraziato. Lo hanno fatto perché hanno capito di non essere pronti. Era chiaro …
Questa settimana ho rifiutato di seguire una campagna di equity crowdfunding. Per me e per Dynamo sarebbe stata la cinquantaquattresima o cinquantacinquesima campagna, ho perso il conto, ma questo poco importa. Ho rifiutato di seguirla e alla fine i founder mi hanno ringraziato. Lo hanno fatto perché hanno capito di non essere pronti. Era chiaro che non lo fossero. Un portale (piccolo) e un social media manager li avevano convinti a partire senza un minimo di programmazione, con zero precommitment e pochissime informazioni su quanto sia complesso portare a successo una raccolta.
Serve una risposta chiara e documentabile del mercato. Servono tanti appuntamenti, tanti pitch, tante porte sbattute in faccia e una sfilza di: “mi faccio risentire io più avanti“.
Mi hanno scritto e mi hanno chiesto una call. Ho analizzato il loro servizio, non ancora validato, decisamente acerbo e senza identità, impossibile da comunicare senza un importante lavoro di brand identity che però è inutile fare se non hai nessuna evidenza che al mercato quel servizio/prodotto interessi realmente. E anche su quello ho espresso tutti i miei dubbi. Eppure, qualcuno ha convinto questi ragazzi ad avventurarsi in una campagna di equity crowdfunding come se bastasse mettere online una paginetta o un coming soon per riempirsi le tasche di denaro.
Una raccolta non si costruisce nei sessanta giorni di campagna, ma molto tempo prima.
Non mi stancherò mai di ripetere che il successo di una raccolta non si costruisce nei sessanta giorni di campagna, ma molto tempo prima. Servono numeri e fatti sui quali bisogna lavorare. Serve una risposta chiara e documentabile del mercato. Servono tanti appuntamenti, tanti pitch, tante porte sbattute in faccia e una sfilza di: “mi faccio risentire io più avanti“.
A questi ragazzi, nessuno aveva spiegato nulla e le mie parole sono state per loro una doccia freddissima. Avevano in mano altri due preventivi di agenzie che avevano accettato l’incarico senza proferire parola. Mentre parlavamo, avranno pensato di avere a che fare con uno che se la tira, ma il fatto è che io ho smesso da un pezzo di indorare le pillole perché per farlo serve tempo (che non ho).
Tuttavia, mi chiedo: se una campagna va male, chi ci guadagna? Non di certo il portale, tantomeno la startup/pmi e neanche il consulente o l’agenzia che li segue. Men che mai l’intero ecosistema che non ha bisogno di fuffa e mercenari ma di progetti validi e di onestà intellettuale. E allora?
E allora credo che chiunque operi seriamente in questo settore abbia il dovere morale di dedicare un piccola fetta del proprio tempo per fare un’informazione onesta, sana e costruttiva. Solo così, ci guadagniamo tutti.