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Startup e fallimento: rinascere dopo l’errore e trasformarlo in vantaggio competitivo

Nel mondo dell’innovazione, fallire è (quasi) una certezza. Eppure, se affrontato con consapevolezza, il fallimento può trasformarsi nella più grande delle opportunità. La cultura imprenditoriale moderna – soprattutto in contesti anglosassoni – ha già sdoganato da tempo il concetto di “fallimento virtuoso”, mentre in Italia questa visione sta lentamente cercando spazio, ancora frenata da un retaggio culturale che associa l’insuccesso alla colpa, all’inadeguatezza, alla vergogna.

Nel mondo dell’innovazione, fallire è (quasi) una certezza. Eppure, se affrontato con consapevolezza, il fallimento può trasformarsi nella più grande delle opportunità. La cultura imprenditoriale moderna – soprattutto in contesti anglosassoni – ha sdoganato da tempo il concetto di “fallimento virtuoso”, mentre in Italia questa visione sta lentamente cercando spazio, ancora frenata da un retaggio culturale che associa l’insuccesso alla colpa, all’inadeguatezza, alla vergogna.

Quello che dovremmo assimilare è che falliscono le aziende, i progetti e le campagne, non le persone.

Dovremmo imparare a comprendere che ogni vero percorso di crescita passa per errori, ostacoli e ripartenze. E nel mondo delle startup, dove il rischio è la norma, è proprio la capacità di cadere e rialzarsi che separa l’imprenditore improvvisato da quello autentico.

Il fallimento come tappa del processo di innovazione

Uno dei punti centrali del pensiero imprenditoriale moderno è che il fallimento non sia la fine, bensì una fase del processo. Eric Ries, autore di The Lean Startup, lo definisce chiaramente: “Il vero apprendimento si ottiene testando un’ipotesi e fallendo”. E ancora: “Il successo non è creare qualcosa, ma imparare più velocemente di tutti gli altri”.

Il vero apprendimento si ottiene testando un’ipotesi e fallendo.
Eric Ries

Questo principio è alla base del validated learning, un modello che invita a sperimentare continuamente, accettando il rischio di sbagliare, purché l’errore generi nuova conoscenza.

Secondo Tom Eisenmann, docente della Harvard Business School e autore del libro Why Startups Fail, “molte startup che falliscono non lo fanno per carenza di talento o di idee, ma per errori sistemici nel processo decisionale, nella gestione delle risorse o nella mancata comprensione del mercato” . Il suo lavoro, basato su casi reali, dimostra che l’insuccesso può avere radici profonde anche quando tutto sembra promettente in superficie.

Il fallimento come passaggio obbligato

Accettare il fallimento non è solo un atto di resilienza, ma un passaggio obbligato nel percorso verso il successo. Basti pensare alla storia di Rovio Entertainment, che ha sviluppato ben 52 giochi nell’arco di sei anni prima di lanciare Angry Birds, il titolo che li ha salvati dalla bancarotta nel 2009. Tim Ferriss, autore del best-seller The 4-Hour Workweek, ha dovuto affrontare 25 rifiuti editoriali prima di trovare un editore disposto a scommettere sul suo libro. Anche Stewart Butterfield ha investito quattro anni in progetti di giochi online falliti prima di concentrarsi su Slack, l’app che oggi è uno standard nella comunicazione aziendale. Questi esempi ci ricordano che il successo duraturo è raramente frutto del caso: è il risultato di anni di fallimenti, tentativi e ricalibrazioni. Il vero successo si costruisce con costanza, capacità di apprendere dagli errori e la volontà di evolvere continuamente, trasformando ogni ostacolo in un’occasione per crescere.

Rovio Entertainment ha sviluppato 52 giochi nell’arco di sei anni prima di lanciare Angry Birds, il titolo che li ha salvati dalla bancarotta nel 2009

Cause comuni di fallimento (e cosa possiamo imparare)

CB Insights ha analizzato centinaia di casi di startup fallite, identificando le 20 cause più frequenti. Le principali? Mancanza di bisogno di mercato, esaurimento dei fondi, team inadeguato, pricing errato, eccessiva competizione o un prodotto poco differenziato​.

Ognuno di questi errori contiene una lezione potenziale. Prendiamo il caso di Quincy Apparel, una startup fondata da ex studenti di Eisenmann. Avevano un prodotto valido – abiti da lavoro per donne giovani e professioniste – ma non avevano testato con sufficiente accuratezza il comportamento d’acquisto del target. La mancanza di market validation, unita a una supply chain inefficiente, portò rapidamente al collasso.

L’aspetto culturale e psicologico del fallimento

Il fallimento è anche, e soprattutto, un fatto umano. Come ricorda Eisenmann, “il fondatore si identifica spesso con la sua startup. Quando questa cade, è come se crollasse anche la sua identità” . In Italia, questa dinamica è ancora marcata: spesso, qui il fallimento personale è visto come una macchia permanente.

Il fondatore si identifica spesso con la sua startup. Quando questa cade, è come se crollasse anche la sua identità.
Tom Eisenmann

Negli Stati Uniti, invece, la logica è opposta: “Chi non è mai fallito, probabilmente non ha mai provato davvero”, si dice nella Silicon Valley. Eventi come il FailCon – conferenze in cui imprenditori raccontano i propri fallimenti – sono esempi virtuosi di questa cultura.

Ma serve tempo per cambiare mentalità. Secondo l’ultimo Report sull’Innovazione in Italia pubblicato da InnovUp e Assolombarda, la cultura imprenditoriale nostrana è ancora poco incline a valorizzare i percorsi tortuosi. Tuttavia, si nota un lento cambio di passo, favorito anche dall’apertura di programmi di formazione e incubazione che includono moduli dedicati proprio alla gestione del rischio e dell’insuccesso .

Esempi noti di fallimenti (che hanno portato a grandi rinascite)

Airbnb

Oggi è una delle piattaforme più conosciute al mondo, ma agli inizi venne rifiutata da decine di investitori. I fondatori arrivarono a vendere cereali per finanziare l’azienda. Il primo prodotto era acerbo, il mercato poco reattivo. Ma invece di mollare, osservarono, ascoltarono e modificarono radicalmente il modello.

Slack

Nasce come spin-off da un progetto fallito: un videogioco chiamato Glitch. Il team, rendendosi conto che il gioco non decollava, decise di trasformare lo strumento di comunicazione interna in un prodotto stand-alone. Quel tool è diventato Slack, oggi uno standard mondiale nel lavoro collaborativo.

Instagram

Era inizialmente un’app chiamata Burbn, troppo complessa e confusa. Il team decise di fare un radicale pivot e concentrarsi solo su una funzione che gli utenti apprezzavano di più: condividere foto con filtri. Il resto è storia.

Come rinascere dopo un fallimento

1. Analisi lucida

Il primo passo dopo il fallimento è guardarlo in faccia. Capire cosa non ha funzionato: modello di business? Mercato? Team? La lucidità nell’analisi è ciò che trasforma un errore in esperienza.

2. Condivisione

Raccontare il proprio fallimento – in modo onesto e strutturato – è utile non solo per elaborarlo, ma anche per aiutare altri imprenditori. Nel mondo startup, la trasparenza crea fiducia.

3. Mantenere il network attivo

Il capitale relazionale non svanisce con un fallimento. Al contrario, dimostrare resilienza rafforza la propria reputazione.

4. Ripartire con metodo

Chi è già passato per un fallimento ha una marcia in più, se riesce a trasformare quell’esperienza in una guida. Il secondo tentativo – magari più misurato, più lean – ha spesso più chance di riuscita.

Conclusioni? Meglio evitare.

Lasciamo perdere le morali che francamente detesto e lasciano sempre il tempo che trovano. Voglio piuttosto, lasciare uno spunto: e se il vero talento imprenditoriale non fosse evitare il fallimento, ma imparare a sfruttarlo meglio degli altri?

Samuel Beckett diceva:

“Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better.”

Business Development Manager at Dynamo, Author Manuale di Equity Crowdfunding, Angel Investor in CrossFund, Journalist, Crowdfunding Marketing Strategist, Startup-News.it founder, IED Lecturer.

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