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State of Private Markets Q1 2025: fine dell’era dell’abbondanza?

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’espansione quasi senza precedenti del mondo venture capital. Fiumi di capitali hanno alimentato startup in ogni angolo del globo, spesso premiando più la narrativa del progetto che i risultati concreti. Ma il primo trimestre del 2025 sembra segnare un cambio di rotta. Secondo il report “State of Private Markets Q1 2025” pubblicato da Carta, la fase che stiamo vivendo si può descrivere come una selezione naturale tra chi è pronto a scalare davvero e chi sopravvive solo grazie alla liquidità facile.

I numeri (del mercato USA) raccontano di meno round, più lunghi tempi di attesa tra un finanziamento e l’altro, ma anche valutazioni in crescita per chi dimostra valore. È il segnale che qualcosa sta cambiando profondamente nelle logiche d’investimento.

Il contesto: meno deal, ma i capitali restano

Nel Q1 2025 sono stati chiusi 1.122 round di investimento nel mercato statunitense. Si tratta del numero più basso registrato dal 2018. Eppure, il totale dei capitali investiti resta stabile rispetto allo stesso periodo del 2024, intorno ai 21 miliardi di dollari. In pratica: meno deal, più selezione. I capitali non sono spariti, ma vengono allocati con maggiore cautela.

Questa tendenza non sorprende chi segue l’evoluzione post-pandemia dei mercati. L’euforia del 2020-2021, alimentata da tassi bassi e da una spinta digitale senza precedenti, ha lasciato spazio a un ritorno alla realtà. Gli investitori ora chiedono numeri, trazione, sostenibilità.

Il fundraising non è morto. Ma è cambiato

Una delle sorprese più interessanti del report riguarda le valutazioni pre-money. Nonostante il calo del numero dei round, queste sono aumentate in quasi tutte le fasi. Il valore mediano nei round seed ha toccato i 16 milioni di dollari, in crescita del 18% su base annua. La Series A ha raggiunto i 48 milioni, con un +9%, mentre le fasi successive (Series C e oltre) hanno registrato aumenti fino al 138%.

Come si spiega questo apparente paradosso? In realtà, il fenomeno riflette un mercato polarizzato: da un lato, molte startup faticano a chiudere round; dall’altro, quelle che riescono ad attrarre investimenti sono spesso già forti, con metriche solide e un chiaro percorso di crescita. Le valutazioni aumentano perché gli investitori sono disposti a pagare di più per partecipare a pochi deal di alta qualità.

Non si tratta di un ritorno alla bolla. Ma di un ecosistema che premia il merito più che l’aspettativa.

Il tempo tra i round si allunga

Altro dato significativo: il time-to-next-round si sta estendendo. In media, le startup impiegano ora 2,8 anni per passare dalla Series A alla Series B, il valore più alto mai registrato da Carta. Questo implica che gli imprenditori devono pianificare con maggiore lungimiranza, evitando il “burn fast, raise faster” che aveva caratterizzato l’era pre-2022.

La logica è semplice: più tempo tra un round e l’altro significa più responsabilità nella gestione della cassa, maggior enfasi sulla crescita organica, e soprattutto una strategia commerciale sostenibile nel medio periodo.

Il boom dei bridge round

Un altro trend in forte crescita riguarda i bridge round, ovvero quei finanziamenti “ponte” che servono a dare ossigeno alle startup tra due round maggiori. Nel solo Q1, i bridge round hanno rappresentato il 46% dei round seed — una quota mai vista prima.

Si tratta di un meccanismo che consente agli investitori esistenti di sostenere le startup senza imbarcarsi in un nuovo processo di fundraising completo. Ma è anche un campanello d’allarme: se una startup fatica a chiudere un round formale, forse il mercato non percepisce abbastanza valore.

Per chi fonda e gestisce una startup, questo si traduce in un’ulteriore sfida: convincere i propri investitori a restare a bordo, anche quando le condizioni non sono ideali.

Diluizione in calo, ma solo per chi chiude il round

Nel Q1 2025, anche la percentuale di equity ceduta durante i round è calata. Per la Series A, la diluizione mediana è scesa dal 20,9% al 17,9%. Questo significa che, se da un lato è più difficile chiudere un round, dall’altro chi ci riesce lo fa a condizioni migliori.

Un messaggio chiaro: la qualità paga. Chi ha i numeri per sostenere valutazioni alte riesce a raccogliere capitali senza svendere la propria quota.

Geografia: la California regge, ma il Sud avanza

La West Coast, con la sola California, continua a rappresentare il cuore pulsante dell’innovazione americana, raccogliendo il 49% dei capitali nel periodo analizzato. Ma emergono nuove tendenze: il Sud degli Stati Uniti (Texas in primis) sta guadagnando terreno, arrivando a rappresentare il 19% degli investimenti. Il Nord-Est, storicamente forte, cala al 17%.

Questo spostamento geografico riflette la ricerca di nuovi hub più accessibili, con costi inferiori e una maggiore vicinanza ai settori industriali emergenti. Per l’Italia, dove ecosistemi locali come Milano, Torino o Bologna stanno crescendo, il messaggio è chiaro: c’è spazio per attrarre capitali anche lontano dai centri storici del VC.

Lezioni per le startup italiane

Anche se i dati arrivano dagli USA, le dinamiche di fondo valgono anche per l’ecosistema europeo — e italiano in particolare. Ecco alcune considerazioni strategiche:

1. Essere fundraising-ready non basta più

Un pitch ben fatto e una buona idea non garantiscono nulla. Gli investitori cercano trazione reale, validazione di mercato, team solidi. Chi arriva a chiedere capitali deve dimostrare di aver già fatto i compiti.

2. Serve visione finanziaria di medio periodo

Con round più distanziati e bridge round in aumento, le startup devono costruire una gestione finanziaria più prudente, capace di estendere la runway anche fino a 30 mesi.

3. Raccontare una storia solida, non solo seducente

Il momento della narrazione iperbolica è finito. Gli investitori oggi vogliono capire come una startup guadagnerà davvero. E vogliono vedere i primi segnali concreti, non solo promesse.

4. Guardare oltre Milano

L’Italia ha diversi poli emergenti: Torino con deep tech e mobility, Bologna con il food-tech, il Sud con progetti a impatto sociale. In un mondo che premia ecosistemi alternativi, anche le startup italiane possono fare leva su un posizionamento territoriale nuovo.

Insomma…

Il Q1 2025 segna una svolta per il private market: meno round, più selettività, ma anche migliori condizioni per chi è pronto. Il futuro del venture capital non sarà più basato sull’abbondanza, ma sulla qualità, sostenibilità e capacità esecutiva.

Per le startup italiane è il momento di fare scelte coraggiose ma strategiche: investire nella propria struttura, puntare sulla validazione reale del prodotto, costruire relazioni solide con investitori pazienti. In gioco non c’è solo la sopravvivenza, ma la possibilità di scalare in un contesto più maturo e consapevole.

Business Development Manager at Dynamo, Author Manuale di Equity Crowdfunding, Angel Investor in CrossFund, Journalist, Crowdfunding Marketing Strategist, Startup-News.it founder, IED Lecturer.

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